Il coraggio di essere conservatori nell’Italia del 2020

Definirsi conservatori nell’Italia del 2020 non sembrerebbe a prima vista un motivo di vanto: cosa c’è davvero di così buono da conservare nel nostro Paese? I cittadini devono subire uno Stato oppressivo che occupa più della metà della scena economica con i suoi sprechi, e un sistema di leggi che in barba al principio (sacro per i britannici) di rule of law non solo non protegge il privato dall’ingerenza dello Stato nella sua vita e nelle sue scelte, ma gli impone addirittura di accettare questa ingerenza perché “lo dice la Costituzione”, perchè potremmo parlare ore di come sia ingiusto affermare in una Costituzione generale, ad esempio, un principio ideologico come la progressività fiscale. Cosa c’è da conservare in tutto questo? Cosa dobbiamo conservare tra lo statalismo imperante, l’assistenzialismo di stato e lo strapotere sindacale? Ha senso definirsi conservatori nell’Italia del 2020? Sì, ha senso, per un motivo molto semplice. Essere conservatori oggi in Italia vuol dire e deve voler dire essere rivoluzionari: il conservatore è colui che crede che vi siano leggi naturali preesistenti allo Stato, al diritto positivo, alle leggi umane, e crede che questi diritti e queste leggi naturali siano riassumibili nella libertà dell’individuo e nel mezzo più diretto ed efficace con cui questa viene esercitata: la proprietà privata. Il grande economista e pensatore paleolibertario Hans Hermann Hoppe parla del conservatore come

“qualcuno che crede nell’esistenza di un ordine naturale, di uno stato delle cose che sia naturale e corrisponda alla natura stessa delle cose, alla natura dell’uomo.”

Un ordine che il conservatore deve difendere a tutti i costi contro chiunque lo voglia minacciare, e la più grande minaccia per questo ordine si è rivelata essere lo Stato, soprattutto a partire dal ‘900 quando l’interventismo statale in ogni sfera della vita dei cittadini ha preso il posto del vecchio laissez faire che aveva garantito per secoli la prosperità di tante economie occidentali. Se, come afferma Hoppe,

“l’ordine naturale è antico e sempre uguale a sé stesso, e dunque può essere riconosciuto come tale ovunque e in ogni tempo”

ecco che sarà davvero facile riconoscere come falsi conservatori coloro che per promuovere la propria visione tradizionale si appellano all’interventismo statale, mostrando di non capire che è lo Stato con la sua presenza massiccia nella vita dei cittadini (dall’obbligo scolastico per i bambini fino all’estorsione tramite le tasse di grosse porzioni di reddito per gli adulti) che ha promosso il disintegrarsi di valori come quello della famiglia che il conservatore dovrebbe ritenere fondamentali. Essere conservatori nell’Italia del 2020 non può voler dire essere a favore di politiche stataliste e arbitrarie come i “bonus bebè” o le politiche demografiche in genere; essere conservatore nell’Italia del 2020 non può voler dire promuovere “redditi” o “quozienti familiari” o fare battaglie perché lo Stato conceda privilegi a questo a quel tipo di aggregazione tradizionalista. Il conservatorismo è oggi più che mai chiamato a difendere i propri valori DALLO Stato e non ATTRAVERSO lo Stato, perché la “Big society”, la grande società fatta di individui, famiglie e imprese indietreggia tutte le volte che la macchina pubblica fa un passo avanti. Essere conservatori oggi vuol dire essere rivoluzionari e soprattutto essere libertari: l’etica libertaria basata sull’individuo, sulla proprietà privata e sulla collaborazione spontanea alla base dell’azione umana è quanto di più antico, naturale e diffuso possiamo trovare, e proprio in questo senso il conservatorismo trova una sua piena realizzazione. I valori che oggi vengono considerati come tradizionali non si sono affermati grazie allo stato e alle leggi degli uomini, la loro origine è antica e lontana, e chi crede di poter salvaguardare quel patrimonio con l’intervento dell’arbitrio statale più che con l’effettiva realizzazione della libertà individuale non è un conservatore, ma solo un socialista. L’Italia non ha ancora vissuto la propria rivoluzione conservatrice, che significherebbe una riaffermazione delle grandi libertà, e non vediamo oggi sulla scena partiti o leader realmente intenzionati a un simile radicale cambiamento nel modo di vedere le cose. A che grado di coercizione statale dovremo arrivare per renderci conto di quello che ogni giorno il cittadino, il taxpayer, subisce? Non basta vedere i figli sottratti ai genitori ed educati nelle scuole di Stato o comunque approvate dallo Stato (e quindi cooperanti ai suoi valori) per un congruo numero di anni? Non basta vedere l’impresa vessata che deve versare più di metà del guadagno alle casse di uno Stato spendaccione? Questi sono pochi esempi di come lo Stato ogni giorno entra nelle nostre vite e ne sovverte il naturale andamento: quanto siamo disposti ad accettarlo? Noi conservatori una risposta, forse, ce la siamo data.

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